venerdì 9 ottobre 2009

cada mañana


Sono già otto giorni di nuova vita. E mi sembrano 8 anni e 8 minuti. È tutto surreale.
Ogni mattina mi sveglio in una stanza che sempre più sento come mia. Sotto il cielo. È un piccolo soppalco con una finestra grande che mi dice se piove, sentendo la pioggia in faccia, o se c’è il sole che mi sveglia poco per volta fino a che una voca mi dice “cafè?”. Si caffè, litri e litri, per iniziare giornate fatidiche alla ricerca di lavoro. “cafè solo o con leche?” caffè solo. Io. Lui con leche. Scende le scale e lo sento macchinare e canticchiare Giusy Ferreri. La casa si riempie di sapore italiano che poco a poco esce dalla finestra che da su Madrid. Ed inizio a sentirmi. Vivo non bene.
Ogni mattina dopo la doccia, dopo la sigaretta del buongiorno scendo in strada. La via ha un nome strano e aspetto che passi l’autobus. E inizio a riconoscere la gente che mi cammina davanti, le signore in sedia a rotella accompagnate dalla ragazze del volontariato che prendono la loro aria quotidiana. Il signore che accompagna l’anziana mamma a prendere il giornale, lei che non vede con i suoi cristalli verdi al posto degli occhi. E poi ancora il ragazzo emo che aspetta sempre il mio stesso autobus ed è già triste, di mattina mentre tutti sembrano sorridere.
Ogni mattina arrivo a casa mia, al di là del fiume, vicino lo stadio dell’Atletico Madrid e le signore con le borse della spesa attaccano bottone e mi chiedono che faccio, chi sono, perché sono qui, che pensano mamma e papà. Ed io sorrido perché è tutta cosa nuova. Al massimo a Roma ti mandano a fanculo i vecchi che si vogliono sedere…no qui no. La gente ti vede sorride e chiede. Ed io piccolo e stanco con occhi rossi sorrido loro chiedendo permesso di soggionrno.
Ogni mattina una volta arrivato a casa mi sento un po’ solo e mangio cose che il mio passato sevillano mi ha suggerito come dieta malsana e adorabile. Salse di ogni forma e sapore. Con verdure che io non potrei…ma chissenefotte.
Ogni giorno dopo aver sistemato la mia camera con colori miei e sapori e odori miei inizio a muovermi, alla ricerca di qualcosa da fare. Perché è così che funziona qui. La gente si sveglia e cerca di dare un senso aggiuntivo alla propria vita. Un lavoro, un arrangiarsi.
Ogni giorno dopo le risate con Alonso e Gustavo, dopo la fatidica puntata di Fama, dopo due sigarette e due caffè ripercorro lo stesso percorso. Autobus, gente, sorrisi, signore con il pane caldo e le verdure nelle borse (perché le buste costano troppo). Mi fermo dal cino per dos cervezas e un pezzo di cioccolata, salgo 4 piani di un palazzo del 1800 con le scale a chiocciola e ritrovo gli occhi lasciati la mattina, tristi occhi catalani che mi guardano e dicono “ciao”.
Sto bene. I miei occhi tornano a vedermi e quasi mi riconosco.




domenica 4 ottobre 2009

En calle mediodia grande 3



In loop Gabriel, Lamb.
la scena é questa: tre bicchieri mezzi pieni su un tavolino nero ikea, di quelli che si aprono e diventano tre volte quello di prima; due posaceneri cosí pieni che le cicche giocano a non cadere posizionate come sono una sopra l'altra. nell'aria incenso di Barcelona, un narghilé pronto all'uso con sopra i miei occhi pieni di gioia. pacchetti di sigarette strane e mai fumate prima, le mie borse buttate ovunque nel mezzo, buste e scatole rosse. i panni sono stesi in alto e cadono quasi sopra le teste. e poi ancora Manu che parla al telefono e ride come un bambino e gli occhi si fanno virgola mentre con una mano si alza i capelli e li sposta in continuazione. Maia che gioca al computer e dice di aver appena comprata una gallina a non so che giochino stupido. questa é la mia mia situaizone di adesso mentre fuori una strana pioggia continuare a cadere da un pomeriggio intero. pare che alla fine abbia trovato una casa qui in capitale. ci sono piç letti che altro. manca una sedia, ma credo che sopravviveró. domani é il gran giorno del trasloco e giá mi sento triste nel lasciare questa alcova che credo saá il mio rifugio qui a Madrid per ogni mio stato d'animo alterato.
credo di star bene, e la cosa me pone loco questione di poca abitudine al buon senso della vita, quello che ho gettato un 10 mesu fa nella merda. poco per volta provo a riprenderlo e a farmelo amico mio. di nuovo, dopo l'abbandono. le cose scorrono veloci e le ore cazzo giá non bastano per fare tutto quanto e poi penso che non ho fretta. non devo tornare. non devo lasciare questa mia nuova gioa. al momento va tutto bene cosí e l'idea dello stato di appartenenza nuova mi riempie gli occhi di immensa vita. é poi le cene spagnole di queste sere, le colazioni alle tre di pomeriggio con le cene delle sere prima, e poi la cerveza, infinita cerveza, e poi un mondo che come ho lasciato a sevilla scorre senza un tempo da gestire.
troveró un lavoro, un buon lavoro. ci riusció. perché forse sto iniziando a capire come vanno le cose. e credo davvero che qui ci sia un posto per me, scritto da chissá quale mente malata che mi ha preso dal mio posto di seta e cartone e mi ha buttato nella mischia della movida di qui.
ho degli occhi trist accanto a me che mi guardano. ed é giá nuova storia che segue un mondo di colori e odori. sto bene. dopo poco giá. e cazzo se va bene cosí.




martedì 29 settembre 2009

Parto ergo Sum

Ci siamo. Fra poche ore colata lavica su quanto è stato detto e fatto e nuovo inizio con sperato decoro. Ansiedad che la metà bastava. Ma ci siamo, poco spazio alla paranoia che frena l’entusiasmo e libero sfogo alla vitalità ammorbata.
Parto dunque sono. Vuole essere un po’ così questa mia presa di posizione netta nei confronti della vita. Parto, ergo, non scappo, ergo, ci provo. E i pensieri si accavallano e arrivano prima di me in quel di Madrid. Poche ore dunque e poi inizio ciclico, otra vez.
E dopo gli occhi di Cosenza, quelli velati e lontani di Trieste, quelli belli di Reggio, sono quelli di Roma che mi salutano con aria un po’ stanca e felice, come di chi sa e spera nel rientro. Ed è piena di situazioni la mia valigia blu. Di quelle che se chiudi gli occhi parte un luna park che non finisce più. Porto tutti con me. È chiaro. È ovvio. Giusto, mica scontato (…). E il proposito si sa, è quello del rientro nella festa, nello sguardo che si illumina al pensiero della storia che sta per essere raccontata. Le risate di questi giorni compensano il delirio di queste ore, convulse e leggermente malsane, tra fumo e nervi che sprizzano e spazzano.
Divento roccia. Gli occhi si fanno stagno. Un sorriso sornione si disegna in viso. Orgoglio senza alcun pregiudizio. Sta volta. Cazzo.
Parto. Per ora è così.
Da qui. Sempre io.